La vicenda umana di David Lazzaretti ha impresso un marchio a fuoco nella storia italiana di fine Ottocento, nonostante i subdoli tentativi di alterarne la memoria da parte dei poteri “forti”, politici ed ecclesiastici. Ma la verità, prima o poi, si impone sempre e oggi la fi gura del “profeta del monte Amiata” è più che mai attuale e maestra di vita.
Di origini umilissime, David era di mestiere “barrocciaio”, un carrettiere.
Partecipe di una vibrante e sincera spiritualità, ebbe visioni e illuminazioni che gli rivelarono il suo speciale destino di guida e ispiratore del popolo amiatino.
Straordinaria fu la sua capacità di fondare una comunità, la Chiesa Giurisdavidica, che trovò aderenti nelle più varie fasce sociali, soprattutto la gran massa di poveri e i piccoli e medi proprietari terrieri. I suoi oppositori furono i grandi latifondisti e le autorità ecclesiastiche che videro in David il concreto
pericolo di un rinnovellamento sociale e spirituale, capace di alterare lo status quo e la disperata sudditanza di un popolo lasciato senza pane né dignità.
Riguardo alla rilevanza dell’azione svolta dai Giurisdavidici, basti indicare due fatti:la comunità fondata dal Lazzaretti fu la prima, in Italia, a dare la possibilità del voto, nelle assemblee, alle donne e fu la prima ad istituire una cassa di mutuo soccorso. Per l’epoca ciò equivalse ai prodromi di una vera rivoluzione …
La limpida trasparenza delle sue azioni aiutò sempre David a superare i processi e le accuse mossegli dai suoi oppositori. Fu solo con un impunito e vigliacco assassinio che la sua opera venne stroncata.
Ma i resti della sua “torre” e la grotta dove meditava e pregava, sulla cima del monte Labbro, ancora oggi echeggiano il suo messaggio, luoghi incontaminati dove l’alito del divino si spande libero, per tutti coloro che vi si recano a cercarlo.
Il testo che segue è il veritiero racconto delle ultime ore di David Lazzaretti (2).
La mattina del 18 agosto 1878, una processione colorita e composita si mosse dal Monte Labbro per recarsi ai santuari mariani di Arcidosso e Castel del Piano. La gente delle campagne di Roccalbegna, Arcidosso e Santa Fiora e dei villaggi abbarbicati intorno ai crinali del monte si assiepava lungo la
strada e ingrossava, via via, il corteo che procedeva salmodiando:
Salve, o Madre di Vittoria
Figlia altissima di Dio
Questo popol santo e pio
Pien di fe’ ricorre a te
….
E quando arrivato
Sarò all’agonia
Ti prego, o Maria,
soccorrimi tu.
Raccogli quell’alma
Nel santo tuo velo
Scortandola in cielo, unita con te.
Davanti a tutti, con portamento maestoso e trasognato, marciava David Lazzaretti, il “santo” dell’Amiata. Aveva una camicia rossa e i pantaloni bianchi, che ricordavano la divisa militare garibaldina, un elmo sormontato da una piccola croce con tre piume di struzzo e un grande mantello celeste foderato di rosso. Portava in mano una verga realizzata con tre legni diversi, riuniti da una lamina d’argento. Dietro di lui procedeva don Filippo Imperiuzzi, il prete della comunità: la barba nera e fluente, una tunica bianca monastica, stretta ai fianchi da una larga cintura azzurra. Portava sulle spalle un ferraiolo verde e, in testa, una cappello di feltro chiaro a larghe tese, con una croce piumata.
Seguivano tre giovani – fra loro, vestito da collegiale francese con la maglietta rossa, Turpino, figlio di David, che innalzava un drappo, anch’esso rosso, con la scritta La repubblica è il regno di Dio – e dodici bambine avvolte in teli candidi con corone di fi ori freschi tra i capelli. Bianca, la fi glia di David, sorreggeva un labaro con la Madonna della Conferenza. Venivano poi dodici
donne – le matrone – col manto celeste, la tunica fiammeggiante, un velo bianco in testa e con il gonfalone della Madonna della Vittoria; setteCavalieri crociferi con la camicia rossa, i pantaloni chiari e il mantello azzurro, con le policrome bandiere delle Nazioni latine; dodici apostolicon i mantelli rossi e bianche vesti tunicate; dodici discepoli, con i pantaloni bianchi e la camicia rossa.
Ma né i colori vivaci dei vestiti e dei drappi, né i canti salmodianti potevano nascondere il cupo presagio che serpeggiava tra i poveri fedeli e le centinaia di contadini e artigiani che, un po’ per curiosità, un po’ per speranza della salvezza o forse di un mondo migliore, procedevano uniti e sereni dietro il loro messia e profeta. Cantavano:
Noi siamo di Cristo
Soldati campioni,
tendiamo all’acquisto
dei tristi e dei buoni;
a ogni alma infedele
la fede portiam.
Evviva la Repubblica
Iddio e la libertà.
Noi siamo giurati
Nemici degli empii.
Soldati crociati
Degli ultimi tempi
Che il fi ne portiamo
Ad ogni empietà
Evviva la Repubblica
Iddio e la libertà.
Giunta all’ingresso di Arcidosso, la processione fu fermata da un drappello di carabinieri.
David Lazzaretti si fece avanti, da solo: “Io vado avanti in nome della legge del diritto”, disse e, mentre la tensione saliva e diventava palpabile, aggiunse: “Io vado Avanti in nome di Cristo Duce e Giudice. Se volete la misericordia porto la misericordia, se volete il mio sangue, ecco il mio petto, io sono la vittima”.
Dalla folla assiepata, in un crescendo tragico di tensione, cominciarono a volare dei sassi, non si sa da chi lanciati e perché. Fu come il segnale atteso: un milite si inginocchiò, prese con calma la mira, fece fuoco. David, centrato in fronte, cadde al suolo in fin di vita.
Note
(2) DAVID LAZZARETTI IL RACCONTO DELLA VITA, LE PAROLE DEL “PROFETA” di
Lucio Niccolai edizioni effigi 2006
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